CARNET DE CULO Chapter 4 - Mesmeric dance
La tre litri avanzava lentamente lungo Tottenham Court. La luce fioca dei lampioni e i rari passanti davano alla strada un aspetto spettrale. Sullo sfondo, il Covent Garden avvolto nella nebbia si stemperava verso l'alto in una fuliggine scura ed evanescente. Il vecchio Winnie procedeva guardingo, forse borbottando qualcosa sotto i baffi, ma Carne non poteva sentire perchè aveva chiuso il cristallo scorrevole. Non era assolutamente antidemocratico, teneva chiuso il cristallo per poter scoreggiare a suo piacimento senza dar noia al vecchio autista.
Lasciandosi alle spalle Bloomsbury, passando il Tamigi, la città si faceva più squallida, meno vivace. Oltre Walworth Road, le basse case dell'East End avevano perso quasi definitivamente il loro decoro, anche se a lato della strada ogni tanto qualche lunga cancellata lasciava supporre che dietro quei platani e quagli olmi sonnecchiassero antiche dimore.
La Bentley rallentò, curvò e si fermò davanti ad una enorme cancellata in ferro battuto. Il vecchio Winnie scese e tirò energicamente il campanello a saliscendi, poi risalì in macchina.
Dopo qualche minuto qualcuno venne ad aprire. Si trattava in verità di un personaggio assai inconsueto: un uomo di razza indiana, con un grosso turbante turchino ed una lunga veste bianca con colletto alla coreana.
"Lord Di Culo, Madame Shalikhan vi attende. Da questa parte, prego" disse l'uomo con un tono cortese ma molto distaccato.
Malgrado la pochissima luce, proveniente da una lucerna ottomana, si intuiva che l'atrio della casa era straordinariamente arredato da una collezione di samovar, accuratamente disposti su alcune grosse mensole di fattura orientale. Anche la boiserie della stanza era intagliata a motivi arabeschi. Sul pavimento, numerosi tappeti si sovrapponevano gli uni agli altri.
Entrarono in un salotto, dove il vecchio Winnie fu fatto accomodare. Carne fu introdotto nello studio di Madame Shalikan: Un piccolo ambiente in cui aleggiava un forte odore di mirra ed altri aromi d'oriente. Tutte le pareti erano coperte di quadri, specchi, appliques, piccoli bassorilievi, maschere africane, armi primitive, simboli magici, lucerne e bambole di ogni tipo e fattura. Le finestre erano nascoste da numerosi tendaggi. Il numero di tappeti era così elevato da rendere il pavimento pieno di dislivelli e di veri e propri gradini. Una unica lampada, sulla scrivania, ne illuminava il piano, completamente sommerso di oggetti. Madame Shalikan non c'era, o almeno così sembrò a Carnet, finchè non la udì alle sue spalle.
"Mi aparite... perocupato, n'est pas?" disse la voce di Madame.
Carne si rese conto allora che nella stanza c'era un paravento.
Madame ne uscì con un'aria orrenda. Una vecchia vestaglia di seta dorata, macchiata e consunta, avvolgeva a stento un decollété vizzo e grinzoso, coperto a malapena da uno jabotche forse, un tempo, poteva essere stato bianco. Un enorme cammeo di giada lo teneva legato alla meglio. Sopra a tutto, uno scialle nella lavorazione tipica di Alessandropoli, di colore nero, turchino e sangue cotto. Ma l'aspetto più impressionante di Madame Shalikan erano gli occhi: due topazi giallastri e fiammeggianti, incorniciati da palpebre simili al cuoio consunto nella parte superiore, e da enormi borse cascanti, simili allo scroto del demonio, nella parte inferiore. Questo orrendo panorama aveva come orizzonte una enorme riga nera di kajal, stesa forse qualche settimana prima.
"E' per vostro sogno, vero, Monsieur De Culo?"
"Sì, madame. Un sogno che mi ossessiona ogni notte"
"Io prego lei non dire niente più!"
Madame aprì un vecchio secretaire e ne estrasse quello che a prima vista sarebbe sembrato un cannocchiale, se non fosse stato per una delle due estremità, che era perfettamente arrotondata.
"Prego, lei toglierà suoi pantaloni et coulottes"
"Devo proprio?" chiese Carnet, visibilmente in apprensione.
"Non si può sapere cosa è davanti se prima non si sa cosa è dietro" disse risoluta madame.
Lasciandosi alle spalle Bloomsbury, passando il Tamigi, la città si faceva più squallida, meno vivace. Oltre Walworth Road, le basse case dell'East End avevano perso quasi definitivamente il loro decoro, anche se a lato della strada ogni tanto qualche lunga cancellata lasciava supporre che dietro quei platani e quagli olmi sonnecchiassero antiche dimore.
La Bentley rallentò, curvò e si fermò davanti ad una enorme cancellata in ferro battuto. Il vecchio Winnie scese e tirò energicamente il campanello a saliscendi, poi risalì in macchina.
Dopo qualche minuto qualcuno venne ad aprire. Si trattava in verità di un personaggio assai inconsueto: un uomo di razza indiana, con un grosso turbante turchino ed una lunga veste bianca con colletto alla coreana.
"Lord Di Culo, Madame Shalikhan vi attende. Da questa parte, prego" disse l'uomo con un tono cortese ma molto distaccato.
Malgrado la pochissima luce, proveniente da una lucerna ottomana, si intuiva che l'atrio della casa era straordinariamente arredato da una collezione di samovar, accuratamente disposti su alcune grosse mensole di fattura orientale. Anche la boiserie della stanza era intagliata a motivi arabeschi. Sul pavimento, numerosi tappeti si sovrapponevano gli uni agli altri.
Entrarono in un salotto, dove il vecchio Winnie fu fatto accomodare. Carne fu introdotto nello studio di Madame Shalikan: Un piccolo ambiente in cui aleggiava un forte odore di mirra ed altri aromi d'oriente. Tutte le pareti erano coperte di quadri, specchi, appliques, piccoli bassorilievi, maschere africane, armi primitive, simboli magici, lucerne e bambole di ogni tipo e fattura. Le finestre erano nascoste da numerosi tendaggi. Il numero di tappeti era così elevato da rendere il pavimento pieno di dislivelli e di veri e propri gradini. Una unica lampada, sulla scrivania, ne illuminava il piano, completamente sommerso di oggetti. Madame Shalikan non c'era, o almeno così sembrò a Carnet, finchè non la udì alle sue spalle.
"Mi aparite... perocupato, n'est pas?" disse la voce di Madame.
Carne si rese conto allora che nella stanza c'era un paravento.
Madame ne uscì con un'aria orrenda. Una vecchia vestaglia di seta dorata, macchiata e consunta, avvolgeva a stento un decollété vizzo e grinzoso, coperto a malapena da uno jabotche forse, un tempo, poteva essere stato bianco. Un enorme cammeo di giada lo teneva legato alla meglio. Sopra a tutto, uno scialle nella lavorazione tipica di Alessandropoli, di colore nero, turchino e sangue cotto. Ma l'aspetto più impressionante di Madame Shalikan erano gli occhi: due topazi giallastri e fiammeggianti, incorniciati da palpebre simili al cuoio consunto nella parte superiore, e da enormi borse cascanti, simili allo scroto del demonio, nella parte inferiore. Questo orrendo panorama aveva come orizzonte una enorme riga nera di kajal, stesa forse qualche settimana prima.
"E' per vostro sogno, vero, Monsieur De Culo?"
"Sì, madame. Un sogno che mi ossessiona ogni notte"
"Io prego lei non dire niente più!"
Madame aprì un vecchio secretaire e ne estrasse quello che a prima vista sarebbe sembrato un cannocchiale, se non fosse stato per una delle due estremità, che era perfettamente arrotondata.
"Prego, lei toglierà suoi pantaloni et coulottes"
"Devo proprio?" chiese Carnet, visibilmente in apprensione.
"Non si può sapere cosa è davanti se prima non si sa cosa è dietro" disse risoluta madame.
1 Comments:
Sei il più grande. Hai letto Jack London.
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