FENOMENOLOGIA DELLE CARNIFICAZIONI
A partire dall'assunto fondamentale in cui "il verbo si fa carne" , l'intera enunciazione della saga carniana si declina come un'autonarrazione, cosa che diviene assai più evidente,se non lapalissiana, nella seconda parte dell'opera, in cui "carne" diviene (o torna ad essere), carnet, ovvero strumento mediatico per antonomasia. La vicenda qui assume a tratti l'aspetto di una vera narrazione, ma è evidente che da qualche parte aleggia la traslucenza di scenari altri, rivendicando il valore della narrazione (consapevole, nel nostro caso) come fatto emblematico ed epifanico del dipanarsi del modo come volontà e come rappresentazione, legittimando tuttavia anche una lettura che insegue una realtà dei fatti, a condizione che si assuma la visione del narrante come veritiera. In altre parole, non vi è altro modo di leggere "Carne di culo" se non condividendo la psicosi del suo protagonista.
Una volta superato questo scoglio, peraltro assolutamente inconsistente, in quanto postulato da me in questo momento, resta da definire l'autenticità della propria identificazione, e l'area specifica, scelta nella poliedrica e vestibolare attività di Carne, in cui questa identificazione è scattata, se è scattata.
E' chiaro infatti che Carne e Carnet non hanno lo stesso statuto ontologico; nondimeno, l'improprio ascriverli ad un medesimo livello di realtà, è la condizione necessaria per poter effettuare quelle digressioni nel campo semantico, che si impongono come unica chiave di lettura dell'intero contesto.
Non capita spesso di confrontarsi con il verbo che si fa carne, durante questa mutazione, che l'opra mostra anche nel suo processo inverso. In questa personalissima trasposizione di istanze, mediata da una ricerca espressiva che non poteva non approdare al nichilismo, gli autori ce ne danno una fugace ma intensa occasione. In tutta l’opera dei giovani talenti, come in questo caso, appare chiara la sfrontata sfida all’ineluttabile divergenza tra necessario e possibile, tra opera e ludus, configurando l’intervento artistico non tanto come protagonista della storia ma come testimone , catalizzatore e scena, della diatriba tra purezza ideologica e necessità, esattamentocosì come è il rivus nella favola, il cui intorbidarsi non è che un paradosso dettato da una logica insostenibile, prevaricante e per questo, controcorrente. Ed è proprio nel paradosso che si concreta l’impossibilità di determinare i canoni dell’assenza.Viene qui prospettata una inversione di tendenza rispetto a lle concettualizzazioni dettate dalle 'istanze di oltrepassamento dei ritmi metafisici, dove i il tentativo è condotto ancora ad un livello ontologico, qui si vuol far trasparire la necessità di depotenziare il flusso di espressioni consapevoli che ambisce a scancire il milieu culturale della vacuità. Carne di Culo è un congedo dal nulla metafisico privo di nostalgie idealistiche, e può spargere i suoi semi solo attraverso un approccio ontico - esistentivo orientato verso una riappropriazione del dominio segnico e fenomenico, cui assegnare il compito di una lenta destrutturazione di sè, che coincide in alcune opere con la ricerca di un’ermeneutica negativa, anabolizzante e in certi casi perfino assente. Qui gli autori esprimono in tutta la sua virilità il gesto platonico, un gesto che non trova spazio e si concreta appunto in una atopia, una metafora sottaciuta delle ipotesi rappresentative che si contrappone ad altre manifestazioni segniche delogicizzandole e contestualizzandone via via le diverse performatività private, nel loro tragitto attraverso il mondo sensibile, della tracotanza ostentativa. Pozioni ridotte a mere sillogi autarchiche, microscopiche epifanie capaci di sviluppare uno specifico di contenziosi effimeri, che pur nella loro esilità traspirano di un turgore venefico se paragonati alla risibile incomprensibilità del reale. Non sbaglia chi ha definito Myrddin un esploratore del sottonaturale, Flacca un viandante delle riletture speculative che vibrano in risonanza con il percepito e che ancora non sono percepibili ma solamente intuite e Derek, il Fondatore, come l'emblema dell'atopia, che si concreta nel manifestare il sottrarsi. Non vi è, neppure per caso, il minimo accenno alla mìmesi, nè indulgenza nella celebrazione, ma semplicemente una redenzione constativa che esprime, attraverso una serie interminabile di anàbasi, la sua defeticizzazione, diradata , derisa e resa metaideologica da un eriosmo ripescato nel magma del rimosso, del sepolto, di ciò che insomma è veramente storico. Un eroismo o forse un titanismo, quello di Carne, perpetrato da epigoni degli idolatrati protervi acrobati delle epopee e che, date le contingenze, non vuole e non può avere testimoni, ma solo spettatori. Accade in tutta l’opera che la semanticità venga sopraffatta dalla propensione alla prassi, che lo sguardo inquieto e lancinante delle avanguardie rimbalzi contro l’apoftegma del verosimile: un tacito ed oscuro campo di afferenze inqualificabili, forse ineffabili che partecipano in qualità di sineddochi ad un ultima e pigolante mitizzazione dell’archetipo che non può e non vuole diventare prototipo. Giova osservare Carne di Culo con sguardo distratto. Non occorrono occhi capaci di legittimare parabole della visione, sono sufficienti quelli di coloro che dall’evento visivo trovano redenzione senza averla cercata. In questo sta l’etimo della flagranza che è anche accidentalmente parvenza o, se si preferisce, apparenza per coloro che dalla visione sanno generare, per partenogenesi, una effettuva”di”-visione e riescono a far oscillare la sinusoide della sensorialità tra il suo aspetto canonico ed un altro, ad esso speculare, e da esso precisamente scisso. In questo e solo in questo si può definire quest’arte schizogena: nella sua capacita di porre rimedio a se stessa e di creare quindi un ponte tra una visione senza significato ed un significante senza proposizione etica. Tutto sommato, l’operazione può essere assimilata ad una negazione: il rifiuto della sintonica aderenza ai canoni comportamentali che sempre si associano alle dicotomie. Ma come nelle migliori sintesi - perche di vera synthesis si tratta- l’atto più pregnante è quello che impone di definire le opzioni teoriche che orientano l'attività verso il mondo della prossimità, intesa come riabilitazione della dimensione astrattrice dell' esistenza al di là del discredito in cui l’esercizio materialistia ha mantenuto il mondo dell' apparenza. Alla luce di poche riflessioni il percorso dell’artista appare chiaro, rivelato da una trasparenza,come si è gia detto, traslucida, nella quale fluttuano, inacciuffabili, gli oggetti interni della personalità di Carne, che nella loro cinesi, entrano in collisione/collusione con i loro rispettivi antigeni, generando assenze. Aprendo, cioé, porte su un preciso scenario: quello abusato, logoro, oltrempodo conosciuto e, perfino quotidiano, dove le cose potrebbero accadere, dove si dovrebbe verificare l’evento, ma che necessariamente deve essere catturato nell’attimo che prelude al fenomeno. Un attimo che può essere compresso, dilatato o diluito, un attimo universale, segmento dell’immobilismo cosmico, lacerante urlo di chi da secoli interroga gli spazi insondabili e non riceve altra risposta che il silenzio. In quzesto, e soprattutto in questo è contenuta la rivelazione di queste opere. Nel sadico abbandonare la visione alla distonia del silenzio. Un obbligo a confrontarsi con cio che non è, un vaccuum così insondabile da non suscitare più neppure “orrore”, ma soltanto il cocente irresistibile desiderio di distogliere lo sguardo e di confrontarsi colo con le melmorie che ha saputo di se generare; Ed in questo sta la sua capacità di manipolare e convogliare nella desolazione ogni sorta di proiezione e di interlocuzione. E in questa azione che è generalizzante, volutamente massimalista e che annulla ciò che il poeta delle agavi definì “il diverso nell’identico”, si contiene e si conserva ciò che è stato da altri definito “banalizzazione”. Ma se la banalizzazione presuppone un atteggiamento manipolativo allora qui si è di fronte a ben altro: non viè intervento di trasformazione, ma solo scelta di ciò che è già banale e come tale viene riproposto, nella sua sempiterna, deludente e sfiancante scandalosità, cioé quella di reiterare e duplicare all’infinito proprio quegli aspetti che non possono destare pathos e non sanno rimandare ad altro , tenui prolegomeni di una catarsi invereconda, oscenamente rivelata, estratta dalla penombra che ne limitava fino a ieri l’ossessionante carica di rassegnazione. E forse siamo per questo di fronte ad un linguaggio che è erotico proprio per questo lento smascheramento del tabù che rende tollerabile l’ acquiescente ridondanza della ripetitività dell’agire che caratterizza le società cosiddette organizzate. Privata del suo velo, quella che un tempo fu la vereconda scansione del tempo, Carne di Culo diviene aritmia nel vago tichettio dell’orologio, piccola ma inequivocabile frattura nella continuità di un eterno presente collettivo che non può avere accidenti, poiche ciò che è accidentale riguarda sempre ed esclusivamente l’individuale. L’esperienza degli autori determina l'inesperienza del protagonista di fronte al noumeno, la sua autorità lo riporta ad essere chiunque ed in questa ricollocazione di ruolo si articola lal sostanziale defenomenologizzazione cui assistiamo attoniti, colti da un ricordo amniotico, riconosciuto ma non decodificato e men che meno interpretato. E’ in questa rivelazione che viene ricreato un nuovo codice per la memoria. Un codice che ci spinge ad abbandonare il nostro incessante desiderio di scindere gli opposti e di collocarli in contrasto tra loro. Ma una cosa Carne di Culo non può fare: non può permettersi il lusso della dialettica. Accade infatti che vi sia a tratti coincidenza tra visione e divisione; accade che gli effetti della decontestualizzazione praticata dgli autori ci facciano smarrire le coordinate della nostra abitudine al percepire e di quel certo modo di percepire che ci condiziona incessantemente, costringendoci a osservarci nell’atto di osservare. Carne di Culo è uno dei rarissimi casi in cui ciò accade.
Una volta superato questo scoglio, peraltro assolutamente inconsistente, in quanto postulato da me in questo momento, resta da definire l'autenticità della propria identificazione, e l'area specifica, scelta nella poliedrica e vestibolare attività di Carne, in cui questa identificazione è scattata, se è scattata.
E' chiaro infatti che Carne e Carnet non hanno lo stesso statuto ontologico; nondimeno, l'improprio ascriverli ad un medesimo livello di realtà, è la condizione necessaria per poter effettuare quelle digressioni nel campo semantico, che si impongono come unica chiave di lettura dell'intero contesto.
Non capita spesso di confrontarsi con il verbo che si fa carne, durante questa mutazione, che l'opra mostra anche nel suo processo inverso. In questa personalissima trasposizione di istanze, mediata da una ricerca espressiva che non poteva non approdare al nichilismo, gli autori ce ne danno una fugace ma intensa occasione. In tutta l’opera dei giovani talenti, come in questo caso, appare chiara la sfrontata sfida all’ineluttabile divergenza tra necessario e possibile, tra opera e ludus, configurando l’intervento artistico non tanto come protagonista della storia ma come testimone , catalizzatore e scena, della diatriba tra purezza ideologica e necessità, esattamentocosì come è il rivus nella favola, il cui intorbidarsi non è che un paradosso dettato da una logica insostenibile, prevaricante e per questo, controcorrente. Ed è proprio nel paradosso che si concreta l’impossibilità di determinare i canoni dell’assenza.Viene qui prospettata una inversione di tendenza rispetto a lle concettualizzazioni dettate dalle 'istanze di oltrepassamento dei ritmi metafisici, dove i il tentativo è condotto ancora ad un livello ontologico, qui si vuol far trasparire la necessità di depotenziare il flusso di espressioni consapevoli che ambisce a scancire il milieu culturale della vacuità. Carne di Culo è un congedo dal nulla metafisico privo di nostalgie idealistiche, e può spargere i suoi semi solo attraverso un approccio ontico - esistentivo orientato verso una riappropriazione del dominio segnico e fenomenico, cui assegnare il compito di una lenta destrutturazione di sè, che coincide in alcune opere con la ricerca di un’ermeneutica negativa, anabolizzante e in certi casi perfino assente. Qui gli autori esprimono in tutta la sua virilità il gesto platonico, un gesto che non trova spazio e si concreta appunto in una atopia, una metafora sottaciuta delle ipotesi rappresentative che si contrappone ad altre manifestazioni segniche delogicizzandole e contestualizzandone via via le diverse performatività private, nel loro tragitto attraverso il mondo sensibile, della tracotanza ostentativa. Pozioni ridotte a mere sillogi autarchiche, microscopiche epifanie capaci di sviluppare uno specifico di contenziosi effimeri, che pur nella loro esilità traspirano di un turgore venefico se paragonati alla risibile incomprensibilità del reale. Non sbaglia chi ha definito Myrddin un esploratore del sottonaturale, Flacca un viandante delle riletture speculative che vibrano in risonanza con il percepito e che ancora non sono percepibili ma solamente intuite e Derek, il Fondatore, come l'emblema dell'atopia, che si concreta nel manifestare il sottrarsi. Non vi è, neppure per caso, il minimo accenno alla mìmesi, nè indulgenza nella celebrazione, ma semplicemente una redenzione constativa che esprime, attraverso una serie interminabile di anàbasi, la sua defeticizzazione, diradata , derisa e resa metaideologica da un eriosmo ripescato nel magma del rimosso, del sepolto, di ciò che insomma è veramente storico. Un eroismo o forse un titanismo, quello di Carne, perpetrato da epigoni degli idolatrati protervi acrobati delle epopee e che, date le contingenze, non vuole e non può avere testimoni, ma solo spettatori. Accade in tutta l’opera che la semanticità venga sopraffatta dalla propensione alla prassi, che lo sguardo inquieto e lancinante delle avanguardie rimbalzi contro l’apoftegma del verosimile: un tacito ed oscuro campo di afferenze inqualificabili, forse ineffabili che partecipano in qualità di sineddochi ad un ultima e pigolante mitizzazione dell’archetipo che non può e non vuole diventare prototipo. Giova osservare Carne di Culo con sguardo distratto. Non occorrono occhi capaci di legittimare parabole della visione, sono sufficienti quelli di coloro che dall’evento visivo trovano redenzione senza averla cercata. In questo sta l’etimo della flagranza che è anche accidentalmente parvenza o, se si preferisce, apparenza per coloro che dalla visione sanno generare, per partenogenesi, una effettuva”di”-visione e riescono a far oscillare la sinusoide della sensorialità tra il suo aspetto canonico ed un altro, ad esso speculare, e da esso precisamente scisso. In questo e solo in questo si può definire quest’arte schizogena: nella sua capacita di porre rimedio a se stessa e di creare quindi un ponte tra una visione senza significato ed un significante senza proposizione etica. Tutto sommato, l’operazione può essere assimilata ad una negazione: il rifiuto della sintonica aderenza ai canoni comportamentali che sempre si associano alle dicotomie. Ma come nelle migliori sintesi - perche di vera synthesis si tratta- l’atto più pregnante è quello che impone di definire le opzioni teoriche che orientano l'attività verso il mondo della prossimità, intesa come riabilitazione della dimensione astrattrice dell' esistenza al di là del discredito in cui l’esercizio materialistia ha mantenuto il mondo dell' apparenza. Alla luce di poche riflessioni il percorso dell’artista appare chiaro, rivelato da una trasparenza,come si è gia detto, traslucida, nella quale fluttuano, inacciuffabili, gli oggetti interni della personalità di Carne, che nella loro cinesi, entrano in collisione/collusione con i loro rispettivi antigeni, generando assenze. Aprendo, cioé, porte su un preciso scenario: quello abusato, logoro, oltrempodo conosciuto e, perfino quotidiano, dove le cose potrebbero accadere, dove si dovrebbe verificare l’evento, ma che necessariamente deve essere catturato nell’attimo che prelude al fenomeno. Un attimo che può essere compresso, dilatato o diluito, un attimo universale, segmento dell’immobilismo cosmico, lacerante urlo di chi da secoli interroga gli spazi insondabili e non riceve altra risposta che il silenzio. In quzesto, e soprattutto in questo è contenuta la rivelazione di queste opere. Nel sadico abbandonare la visione alla distonia del silenzio. Un obbligo a confrontarsi con cio che non è, un vaccuum così insondabile da non suscitare più neppure “orrore”, ma soltanto il cocente irresistibile desiderio di distogliere lo sguardo e di confrontarsi colo con le melmorie che ha saputo di se generare; Ed in questo sta la sua capacità di manipolare e convogliare nella desolazione ogni sorta di proiezione e di interlocuzione. E in questa azione che è generalizzante, volutamente massimalista e che annulla ciò che il poeta delle agavi definì “il diverso nell’identico”, si contiene e si conserva ciò che è stato da altri definito “banalizzazione”. Ma se la banalizzazione presuppone un atteggiamento manipolativo allora qui si è di fronte a ben altro: non viè intervento di trasformazione, ma solo scelta di ciò che è già banale e come tale viene riproposto, nella sua sempiterna, deludente e sfiancante scandalosità, cioé quella di reiterare e duplicare all’infinito proprio quegli aspetti che non possono destare pathos e non sanno rimandare ad altro , tenui prolegomeni di una catarsi invereconda, oscenamente rivelata, estratta dalla penombra che ne limitava fino a ieri l’ossessionante carica di rassegnazione. E forse siamo per questo di fronte ad un linguaggio che è erotico proprio per questo lento smascheramento del tabù che rende tollerabile l’ acquiescente ridondanza della ripetitività dell’agire che caratterizza le società cosiddette organizzate. Privata del suo velo, quella che un tempo fu la vereconda scansione del tempo, Carne di Culo diviene aritmia nel vago tichettio dell’orologio, piccola ma inequivocabile frattura nella continuità di un eterno presente collettivo che non può avere accidenti, poiche ciò che è accidentale riguarda sempre ed esclusivamente l’individuale. L’esperienza degli autori determina l'inesperienza del protagonista di fronte al noumeno, la sua autorità lo riporta ad essere chiunque ed in questa ricollocazione di ruolo si articola lal sostanziale defenomenologizzazione cui assistiamo attoniti, colti da un ricordo amniotico, riconosciuto ma non decodificato e men che meno interpretato. E’ in questa rivelazione che viene ricreato un nuovo codice per la memoria. Un codice che ci spinge ad abbandonare il nostro incessante desiderio di scindere gli opposti e di collocarli in contrasto tra loro. Ma una cosa Carne di Culo non può fare: non può permettersi il lusso della dialettica. Accade infatti che vi sia a tratti coincidenza tra visione e divisione; accade che gli effetti della decontestualizzazione praticata dgli autori ci facciano smarrire le coordinate della nostra abitudine al percepire e di quel certo modo di percepire che ci condiziona incessantemente, costringendoci a osservarci nell’atto di osservare. Carne di Culo è uno dei rarissimi casi in cui ciò accade.
3 Comments:
trovategli una donna
coglione, è per colpa delle donne che sono così
sono pienamente d'accordo con queste tue brevi e pregnanti note, specialmente quando dici "qui si vuol far trasparire la necessità di depotenziare il flusso di espressioni consapevoli che ambisce a scancire il milieu culturale della vacuità"
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